Mio padre preferisce l’aringa da uova e mio nonno preferiva l’aringa da latte. A me la cosa è del tutto indifferente amo l’una e l’altra.
Ma è stato un percorso lungo e doloroso, non privo di sacrifici. A me non piaceva, o meglio, l’idea di ritrovarmi sotto i denti le lische che poi si conficcano in gola mi dava fastidio.
Ma il fortemente sapido, nonostante l’ammollo nel latte, e l’affumicatura stemperata dalle verdure e soprattutto l’olio in cui intingere il pane erano irrinunciabili. Ne ero attratto e intimorito come dai film dell’orrore.
In casa la facciamo a volte, non spessissimo, per bere un vino bianco di spiccata acidità ma anche, e soprattutto, per devozione. In questo si è trasformato il sentimento giovanile.
Prima come la faccio io (nella foto) poi come la faceva mia nonna:
- 2 aringhe (vanno bene anche quelle già spinate)
- 1 cipolla rossa di media grandezza
- 1 peperone rosso di media grandezza
- basilico
- olio extra vergine di oliva
- 1 spicchio d’aglio
- tabasco
Marinare in frigo i filetti di aringa nel latte per 7 o 8 ore muovendoli di quando in quando. Sgocciolarli e asciugarli bene.
Tagliarli, perpendicolari alla lunghezza, a listarelle di mezzo centimetro circa di larghezza.
Schiacciare l’aglio e metterlo assieme all’aringa in un contenitore adeguato.
Spezzettare finemente il basilico e aggiungerlo.
Tagliare sia la cipolla che il peperone in piccoli pezzetti, più piccoli sono e meglio è ma non riduceteli ad un battuto. Aggiungere.
Mischiare aringhe e tutto il resto, tabasco a vostro piacimento e olio a ricoprire. Amalgamare e coprire con la pellicola lasciando almeno 24 ore in frigo e rigirando almeno un paio di volte.
Toglietele dal frigo un paio d’ore prima di servirle in modo che l’olio torni liquido e le temperature di tutti gli elementi siano giuste.
Sono ottime da offrire con pane abbrustolito e burro o panna acida.
Come le faceva mia nonna: non metteva il tabasco ed i peperoni ma un trito ugualmente fine di sedano, carota e cipolla. Per il resto tutto uguale.